Sul Corriere della Sera di sabato 9 agosto 2025, Luca Peyron( Don Luca Peyron è un sacerdote torinese, giurista e teologo, direttore della Pastorale Universitaria e fondatore/coordinatore dell’Apostolato Digitale dell’Arcidiocesi di Torino, docente e saggista che si occupa del rapporto tra fede e tecnologie) ricorda che “il cielo sa educare”. Non è un esercizio estetico: è un metodo. La scienza come disciplina del dato e della verifica; la fede come capacità di credere in ciò che ancora non si vede; tra le due, la pazienza che consente di tenere la rotta quando l’evidenza è parziale ma coerente. È la stessa triade che serve a chi investe nelle PMI Space e Deeptech: misurare, saper attendere, impegnarsi con fiducia informata prima che il consenso del mercato arrivi.
In astronomia, ciò che conta non sempre brilla. Serve tempo, servono lenti giuste, servono notti. Vale anche per gli investimenti: i veri outlier industriali accumulano prove più che slogan. Tenere insieme rigore e visione è la lezione operativa di Peyron. In finanza si traduce in due diligence profonda, verifica dei TRL reali, prove ambientali (vibro-acustiche, termo-vuoto, radiazioni), qualità del team e della supply chain; poi nella decisione — sempre revocabile, ma consapevole — di accompagnare l’azienda nel tratto in cui i numeri sono giovani ma la direzione è chiara. Fede informata, non credulità.
La pazienza attiva è la prima ricaduta economica dell’osservazione del cielo. Non è immobilismo: è capitale legato a milestone verificabili, reporting trasparente e governance che protegge senza soffocare. Il telescopio non accelera le stelle: permette di vederle meglio. Così il capitale: evitare pressioni di breve termine che snaturano il prodotto e finanziare gli step che trasformano un risultato di laboratorio in una linea che consegna con yield e OTD affidabili.
La prospettiva conta. Al telescopio, un punto quasi impercettibile annuncia una costellazione. In una PMI spaziale, un contratto pilota con un integratore o una qualifica superata in camera TVAC hanno lo stesso valore predittivo: sono indicazioni di rotta. L’investitore che unisce fede e scienza le legge, non le assolutizza; ne ricava scelte operative — potenziare qualità, aprire una seconda fonte su un componente critico — e finanziarie — una tranche addizionale, un convertibile legato a obiettivi tecnici, un co-investimento industriale per ridurre il rischio.
Il limite non è un fallimento: è una mappa. La storia della Space Economy è piena di limiti trasformati in vantaggi difendibili: una lega qualificata che apre un mercato; un algoritmo robusto che comprime dati a bordo; un processo AIT proprietario che riduce tempi e difetti. Qui la scienza chiede prove, la fede sostiene la perseveranza, la finanza mette il carburante al momento giusto: non un salto nel buio, ma una scommessa calcolata su risultati replicabili.
Private equity e PMI Deeptech: pazienza attiva, governance e metriche che contano
Fede e scienza significano anche dialogo tra mondi. Troppe aziende brillano in laboratorio e inciampano sul mercato; altre vendono bene ma sfiatano in officina. L’investitore può fare da
“telescopio condiviso”: allineare R&D e commerciale, mettere allo stesso tavolo fornitori, università, centri prova, assicuratori, prime contractor; favorire accordi di co-sviluppo che anticipano ordini e accorciano il time-to-qualify. La finanza, quando è competente, non è solo denaro: è architettura di relazioni.
Guardare il cosmo educa all’umiltà. Ridimensiona l’ego. Nel settore significa archiviare la retorica del “disrupt or die” e tornare agli elementi che fanno impresa: responsabilità prodotto, risk management, cybersecurity, business continuity. Pagine poco glamour, ma decisive per margini e multipli. La fede — intesa come fiducia reciproca — si traduce in governance chiara, reporting onesto, patti che allineano incentivi (anche con stock option ben disegnate). La scienza — intesa come cultura del dato — si traduce in KPI che contano: lead time dei componenti critici, % di rework, yield per lotto, backlog firmato, concentrazione clienti, quota di ricavi ricorrenti (licenze, service, operations).
Dove mettere capitale paziente? In cinque direttrici con trazione e difendibilità:
1. Componentistica space-grade con supply chain resilienti e seconde fonti.
2. Servizi di terra e di missione (test, AIT, operations) che “monetizzano” competenze tecniche.
3. Software/AI on-board e a terra per autonomia, compressione dati, gestione asset.
4. New materials e manifattura additiva: meno costi/tempo, più prestazioni.
5. Downstream dei dati: osservazione, connettività, PNT; modelli “data-as-a-service” con LTV/CAC leggibili. Non caselle isolate, ma una costellazione: funziona quando prodotto, processo, canali e clienti raccontano una storia industriale coerente.
L’aspetto etico non è un corollario, è parte del valore. Debris mitigation, fine vita, dual use, privacy, sovranità tecnologica: tutto va tradotto in policy e processi misurabili. La scienza chiede criteri; la fede chiede responsabilità; la finanza pretende sostenibilità del rischio. Il premio è concreto: maggiore accettazione regolatoria, fiducia dei clienti istituzionali, costo del capitale più basso, reputazione che regge alle crisi.
Resta il tema del tempo del capitale in Europa. La Space Economy chiede finanza che sappia attendere senza addormentarsi: equity per R&D e industrializzazione, convertibili per allineare rischio e valutazione, co-investimenti industriali per condividere curva di apprendimento, project finance su asset quando maturi. Le tranche si legano a milestone oggettive: qualifica, primo contratto pagante, yield sopra soglia, OTD costante. La fede, qui, è restare sulla rotta quando le onde crescono; la scienza è la strumentazione di bordo che dice se la rotta è ancora giusta.
Come riconoscere i campioni nascosti? Con strumenti semplici e severi: visite in stabilimento e in camera TVAC; colloqui con capi officina e responsabili qualità; reference check con integratori e clienti; analisi make-or-buy su componenti critici; simulazione dei costi totali per il prossimo lotto; verifica dei colli di bottiglia nella supply chain. Dove l’azienda apre i numeri e accetta il contraddittorio, spesso c’è sostanza. Dove sorvola sui dettagli, il cielo non è sereno come sembra.
Metriche e strategie per investire nello Spazio: dalla visione al metodo
Le metriche che contano per un investitore PE nello Spazio vanno oltre EBITDA e cassa: maturità tecnica (TRL e prove completate), heritage o equivalenti, backlog e concentrazione clienti, margini per linea (prodotto vs progetto), indice di industrializzazione (yield, scarti, rework),
capex futuri e ritorno atteso, costo/tempo di qualifica dei nuovi prodotti, quota di ricavi ricorrenti. Sono questi numeri, non i follower, a muovere i multipli.
Sul piano strategico, la tesi industriale per l’Europa richiede filiere ricostruite: componenti critici, test facility, software e dati, integrazione di missione. Collegare civile e duale con regole chiare, moltiplicare punti di accesso al mercato per PMI che altrimenti restano subfornitrici, usare il private equity come orchestratore di piattaforme e bolt-on. È qui che la pazienza attiva diventa vantaggio sistemico.
Conclusione — Fede e scienza, la stessa rotta anche per i capitali. L’intuizione di Peyron — fede e scienza non come opposti, ma come bussola a due aghi — non è un’astrazione culturale: è un vantaggio competitivo per chi investe in PMI Space e Deeptech. La scienza impone metodo, prove, misura; la fede invita a impegnare capitale quando i segnali sono coerenti ma la storia non è ancora scritta. In mezzo sta la pazienza attiva che trasforma limiti in standard, prototipi in linee, contratti pilota in mercati. Sollevare lo sguardo non significa ignorare il conto economico: significa leggerlo per ciò che è, una fotografia di oggi in un film di domani. Se teniamo uniti dati e visione, rigore e fiducia, l’Europa può ancora giocare da protagonista nella nuova economia dello Spazio. Perché il cielo — lo ricorda il Corriere della Sera — educa; e a chi sa ascoltarlo, insegna anche a investire.





