L’ANALISI

Pnrr Spazio: maxi-piano, mini ricadute. Così le pmi restano ai margini



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L’Italia ha destinato allo Spazio una quota senza precedenti del Piano: oltre due miliardi di euro tra Esa e Asi, con l’iniziativa IRIDE come pilastro per l’osservazione della Terra. Un programma ambizioso, che ha innescato una forte spinta industriale ma anche squilibri strutturali: l’impatto reale sulle piccole e medie imprese resta limitato, mentre i conti di molte aziende beneficiano di una temporanea “bolla” legata ai fondi straordinari

Pubblicato il 8 ott 2025



Aerospazio, pianeti, orbita, terra

L’Italia ha impegnato nello Spazio una quota senza precedenti di risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza: oltre 2 miliardi fra contratti in capo all’ESA e all’ASI, con il cuore del programma affidato all’iniziativa IRIDE per l’osservazione della Terra. È un disegno ambizioso, che ha dato slancio alla filiera e accelerato decisioni rimaste a lungo sulla carta. Eppure, a fronte di annunci e tagli di nastro, la ricaduta sulle piccole e medie imprese resta più modesta del previsto. Nel frattempo, più di un bilancio appare “dopato” da entrate eccezionali legate al PNRR: volumi e margini crescono a colpi di commesse straordinarie, ma senza basi strutturali per reggerne l’onda d’urto quando i fondi finiranno.

La cornice: obiettivi chiari, tempi stretti

Nella Missione 1 (M1C2) il capitolo “Tecnologie satellitari ed economia spaziale” ha fissato milestone stringenti: aggiudicare tutti gli appalti entro il primo trimestre 2023, mettere in servizio Space Factory, telescopi SST e un dimostratore di propulsione entro il 2026, e – soprattutto – erogare servizi reali alle amministrazioni pubbliche entro la scadenza finale del Piano. Una timeline pensata per assicurare spesa e risultati, ma che ha compresso le fasi di progettazione e il tempo necessario a far maturare una domanda pubblica stabile per i dati e i servizi spaziali.

IRIDE, il simbolo: accelerazione industriale, adozione ancora incerta

IRIDE è il perno del PNRR Spazio: circa 1,1 miliardi per una costellazione multitecnologica, lotti assegnati entro il 31 marzo 2023, piena operatività entro metà 2026 e governance tecnica affidata all’ESA con il supporto dell’ASI. La tabella di marcia è stata rispettata nella fase di affidamento; i lanci e l’infrastruttura a terra stanno avanzando. Ma l’anello debole resta la trasformazione del dato in servizio continuativo per chi poi deve usarlo: Protezione civile, Regioni, Comuni, autorità ambientali. Senza commit di acquisto pluriennali e procedure rapide, molti prodotti rischiano di fermarsi alla fase pilota.

Nel 2025 sono arrivate le prime immagini e i primi set di satelliti in orbita, con il contributo di player nazionali che hanno scalato capacità produttive e integrazione. Sono progressi tangibili, utili a “fare massa critica” tecnologica. Ma il traguardo chiave è il downstream: consegnare servizi operativi, interoperabili e ripetibili per chi decide sul territorio, entro giugno 2026. L’asticella non è bassa.

Space Factory 4.0 e In-Orbit Servicing: grandi programmi, filiera corta

Sempre dentro il PNRR, l’ASI ha avviato Space Factory 4.0 – rete di stabilimenti interconnessi per piccoli satelliti – e la missione dimostrativa di In-Orbit Servicing (IOS). Due tasselli importanti per spostare l’industria verso produzioni seriali e servizi in orbita. Il punto critico? La taglia dei lotti e i requisiti tecnici (standard ECSS, garanzie, performance) hanno polarizzato le aggiudicazioni su pochi primari, con subforniture diffuse ma di valore economico spesso marginale per le PMI. Una scelta comprensibile in ottica di rischio/tempo, ma che riduce l’effetto “trampolino” per chi è sotto i 50 milioni di fatturato.

PMI: coinvolte sì, trasformate poco

I programmi PNRR hanno effettivamente attivato decine di fornitori, anche piccoli e medi, nelle catene dei prime contractor. In IRIDE, per esempio, consorzi e capofila hanno annunciato il

coinvolgimento di molte decine di aziende lungo la filiera. È però un coinvolgimento a valle, spesso limitato a forniture build-to-print o servizi specialistici non scalabili. Senza un accesso diretto e ricorrente alla domanda di servizi (dati, analytics, applicazioni) e senza contratti multi-anno con la PA, la crescita rimane episodica. L’innovazione di prodotto si ferma dove finisce l’ordine PNRR.

Il “doping” dei numeri: perché alcuni conti brillano… finché durano

Parlare di “aziende dopate” non significa insinuare irregolarità, ma descrivere un fenomeno economico noto: quando una pioggia di commesse straordinarie si concentra in un orizzonte breve, ricavi e portafoglio ordini si impennano, i margini sembrano più solidi grazie all’assorbimento delle spese generali, e la produttività in apparenza migliora. È un effetto ottico:

· non è ricorrente (manca la certezza di rinnovo dopo il 2026);

· distorce gli indicatori (EBIT “gonfio” da avanzamenti lavori e anticipi);

· altera gli investimenti (capex e assunzioni su picchi di carico che poi si sgonfiano);

· spinge al prezzo ribassato pur di entrare nella “fotografia PNRR”, scaricando rischi a valle sui subfornitori.

Se la pipeline commerciale post-PNRR non sostituisce rapidamente la domanda pubblica straordinaria, molte PMI affronteranno un “cliff” 2026-2027: linee troppo grandi per il mercato normale, costi fissi rigidi, cassa che si prosciuga tra fine lavori e incassi. Le cronache ufficiali sullo stato di attuazione del Piano confermano che i tempi sono stretti e le criticità non marginali; la qualità della spesa e la messa a terra dei servizi restano i nodi da sciogliere.

Tre errori di impostazione

1. Supply-push, poca domanda “vera” Si è finanziato soprattutto l’upstream (satelliti, fabbriche, dimostratori), dando per implicito che la PA sarebbe stata pronta a comprare servizi. Non sempre è così: mancano capitolati tipo, contratti quadro rapidi, team interni con skill geospaziali. Il risultato è l’effetto “vetrina”: tecnologia pronta, utenti finali in attesa.

2. Lotti maxi, barriera all’entrata La combinazione tra tempi stretti, responsabilità d’integrazione e risk management ha favorito aggregazioni guidate da pochissimi capofila. Le PMI entrano in catena, ma raramente con ruoli ad alto valore o proprietà dell’IP. Alla scadenza dei fondi, il potere contrattuale resta concentrato.

3. Governance e metriche orientate alla spesa più che all’adozione Il Piano misura milestone e pagamenti (necessario), ma fatica a misurare uso, riuso e impatto dei servizi. Senza KPI di adozione – utenti attivi nella PA, SLA, volumi di richieste – è difficile correggere la rotta in tempo.

Che cosa servirebbe adesso (prima che scada il cronometro)

· “Voucher dati & servizi” per la PA locale: budget dedicati e standard di acquisto semplificati per Comuni, Regioni, Consorzi di bonifica, con contratti as-a-service pluriennali. È la condizione per stimolare un mercato downstream che sopravviva al PNRR. (L’obiettivo “Servizi alle amministrazioni” entro T2 2026 c’è: va tradotto in commit reali e durevoli.)

· Quote minime e premi di risultato per PMI: non solo percentuali di subfornitura, ma work package con autonomia tecnica, accesso ai dati e diritti d’uso sull’IP, misurati su metriche di performance, non di sola spesa.

· Bandi SBIR alla italiana: cicli rapidi, tre fasi (feasibility–prototype–scale-up), ticket crescenti, sfide della PA come challenge owner. Poche carte, molte prove in campo.

· Dati aperti, licenze chiare, standard interoperabili: se i dataset IRIDE non sono machine-readable, stabili e “portabili” fra amministrazioni e cloud, le applicazioni delle PMI non scalano. Il patrimonio informativo c’è e va reso consumabile tramite cataloghi e API pubbliche. (Gli open data PNRR esistono: usarli come norma, non come eccezione.)

· al servizio: Space Factory 4.0 deve chiudere il cerchio con linee di produzione orientate a satellite-as-a-product per mercato civile e duale, e con service level agreement che incentivino la disponibilità dei dati più che il numero di payload consegnati.

Trasparenza sui numeri: senza, il dibattito resta ideologico

Sappiamo quanti satelliti, quante camere, quanti contratti. Sappiamo meno su quanto la PA sta davvero usando quei dati e servizi. È qui che si gioca la credibilità del PNRR Spazio: misurare l’uso effettivo (quante allerte incendi supportate, quante frane monitorate, quanti controlli su coste e infrastrutture abilitati), rendere pubblici i tassi di adozione per amministrazione, e correlare pagamenti e milestone a KPI di impatto. Le relazioni istituzionali sullo stato di attuazione riconoscono i progressi ma anche le criticità nelle opere complesse: il passo successivo è consolidare la messa a terra dei servizi digitali spaziali, altrimenti l’investimento rischia di restare “one-off”.

Dall’epica dell’annuncio alla prosa dell’uso

Il PNRR ha messo il settore spaziale italiano sotto i riflettori e, in parte, lo ha fatto correre. Ma correre non basta se il traguardo è costruire un mercato per le PMI che resista quando il cronometro europeo si ferma. Oggi i conti di alcune società brillano perché espongono commesse eccezionali, anticipo di ricavi, cantieri pieni: è il “doping” tipico delle stagioni straordinarie. Domani conteranno i clienti che restano, i servizi che rinnovano, i dati che si pagano per davvero.

L’Italia dispone di programmi robusti (IRIDE), infrastrutture in crescita (Space Factory 4.0) e un capitale umano di valore. Manca la garanzia che tutto questo si traduca in domanda stabile per applicazioni e servizi. Senza questa, la scia del PNRR può trasformarsi in una risacca. Con essa, invece, il 2026 non sarà la fine di una parentesi, ma l’inizio di un mercato più profondo e contendibile.

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