È una di quelle notizie che, per un istante, fanno zittire il ronzio di fondo dell’attualità: Emilio Fede non c’è più. Con lui se ne va un frammento della nostra televisione generalista, quella che trasformava l’“evento” in rito domestico e il telegiornale in piazza pubblica. Ha diviso, ha polarizzato, ha segnato un’epoca. Ma nell’atlante delle cose che gli sopravvivono c’è anche un merito meno discusso: avere aiutato a stabilizzare nel prime time italiano il racconto delle imprese spaziali, facendo entrare il linguaggio dei lanci, delle stazioni orbitali e delle missioni di riparazione nel lessico di chi, la sera, apparecchiava la tavola con il telecomando accanto. Non fu la voce dell’allunaggio, ma fu uno dei volti che, tra fine anni Settanta e primi Duemila, hanno ancorato il cosmo a un canovaccio riconoscibile: cronaca, didattica, pathos. È da qui che conviene partire per capire come quel racconto è cambiato — e perché continua a cambiare.
L’INTERVENTO
Addio a Emilio Fede: come la TV ha trasformato il racconto dello spazio
Con la scomparsa di Emilio Fede si chiude un’epoca della TV che ha reso il cosmo parte della quotidianità, dal Challenger alla ISS. Oggi, tra streaming e social, quella lezione resta un promemoria: unire meraviglia e responsabilità
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