IL PROGETTO

Delivery spaziale entro il 2025, Inversion raccoglie 10 milioni di dollari

La start-up, che punta a creare un sistema di logistica e consegna ultraveloce, ha annunciato di avere già un cliente pronto a versare 225 milioni di dollari per prenotare il servizio

11 Mar 2022

Anche per i settori della logistica e della consegna a domicilio lo spazio potrebbe essere la prossima frontiera. Ci sta pensando la Inversion Space, giovanissima start-up fondata alla fine del 2020 da due 23enni, Justin Fiaschetti e Austin Briggs (rispettivamente a destra e sinistra nella foto), che puntano a operare consegne in tempi rapidissimi: l’ipotesi estrema è impiegare 45 minuti per spedire una pizza da New York a San Francisco, anche se gli utilizzi potrebbero essere decisamente meno ameni come inviare, in tempi impossibili con sistemi terrestri, un organo per trapianti oppure forniture militari in teatri bellici difficili da raggiungere.

I due sono ingegneri specializzati in propulsione spaziale e si sono incontrati alla Boston University, lavorando al Rocket Propulsion Group, ma per mettere su la loro attività si sono trasferiti in piena pandemia a San Pedro, nell’area metropolitana di Los Angeles, in una guesthouse pagando 1.250 dollari a testa, compreso l’uso di un garage che è diventato la loro officina. A giugno nel 2021 sono entrati a far parte di Y Combinator, un incubatore famoso per aver allevato “bambini” come Stripe e Airbnb, e nel novembre scorso hanno raccolto 10 milioni di dollari per sviluppare la loro idea. Grazie a questa robusta iniezione di denaro, si sono traferiti a Torrance, all’interno di un capannone da 500 metri quadri.

Il sistema prevede l’invio di piccole capsule in bassa orbita che potrebbero poi rientrare immediatamente nell’atmosfera oppure sostare in locker, in orbita permanente e alimentati ad energia solare, presso i quali potrebbero rimanere stoccati fino ad una richiesta di consegna. In tal caso, sarebbero sparati verso la superficie ad una velocità 25 volte quella del suono (oltre 30.000 km/h) e frenati nella parte finale della discesa da un paracadute. Fiaschetti e Briggs stanno lavorando a due capsule: una è denominata Ray dal diametro di 20 pollici (circa mezzo metro) e sembra un disco volante uscito da un film di fantascienza degli anni ‘50, l’altra si chiama Arc, misura 4 piedi (un metro e 20 circa) e somiglia invece ad una capsula spaziale capace di trasportare astronauti.

La Inversion Space con i soldi raccolti ha acquistato vari macchinari, una pressa idraulica da 20 tonnellate e una sorta di container lungo 10 piedi (3 metri) all’interno del quale compiono le prove che riguardano il razzo di propulsione e il sistema di apertura del paracadute. Per questi scopi, ha pareti rinforzate in acciaio e un sistema che immette immediatamente azoto in caso di incendio. E anche il personale sta crescendo, ma non basta: Fiaschetti e Briggs cercano ingegneri specializzati in avionica, aerodinamica e propulsione nonché una figura commerciale come il responsabile dello sviluppo business. A questo proposito, la Insane avrebbe già annunciato un ignoto cliente potenziale, pronto a versare 225 milioni di dollari per prenotare spazi in orbita.

Ci sono però da risolvere alcuni problemi tecnici. Il primo è nei costi di lancio, ma una soluzione potrebbe essere chiedere passaggi al numero crescente di voli commerciali, almeno per beni destinati allo stoccaggio. In 30 anni il costo per lancio è diminuito del 90% grazie ai vettori riutilizzabili e SpaceX, che ora li fa pagare 62 milioni l’uno, conta di scendere a 10 milioni nei prossimi 3 anni. Fiaschetti & Briggs stanno studiando un sistema di propulsione, interamente in alluminio, particolarmente leggero e compatto, sfruttando le loro competenze specifiche. C’è poi il tema dell’affollamento dello spazio che, almeno a livello visivo, l’azienda di Torrance conta di risolvere riducendo al minimo il potere riflettente di ogni capsula. Allo studio ci sarebbero anche non precisati sistemi per evitare i detriti.

Ma i problemi maggiori, come per qualsiasi sonda, riguardano il rientro. Il punto di partenza infatti è ben definito, assai meno quello di atterraggio, senza contare il controllo della velocità e del calore a contatto con l’atmosfera. La tematica è paradossalmente più complessa da risolvere per oggetti di piccole dimensioni e solitamente tutte le aziende aerospaziali si servono di paracadute acquistati da specialisti esterni. Per questo, Inversion sta progettando in casa il paracadute per la propria capsula e ha già compiuto due test. Il secondo è stato effettuato in collaborazione con un Connor Kelsay, un ingegnere che, dopo avere lanciato la capsula da un aereo, si è paracadutato per seguirla da vicino con una action cam fissata sul casco per registrarne il comportamento. Il lavoro compiuto da Kelsay sembra aver portato buoni frutti migliorando la velocità di apertura del paracadute e riducendo le oscillazioni dell’involucro.

Il programma di Inversion Space prevede che la prima dimostrazione avvenga con il modulo più piccolo Ray nel 2023 e il primo lancio commerciale abbia luogo nel 2025 con quello più grande Arc.

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