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La sfida dei detriti spaziali: Telespazio e la sicurezza delle orbite



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Il crescente affollamento delle orbite terrestri mette a rischio i satelliti operativi: Telespazio dal centro del Fucino guida manovre di collision avoidance per proteggere le infrastrutture dallo scenario critico dei detriti spaziali

Aggiornato il 2 ott 2025



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Sempre più oggetti orbitano intorno alla Terra, trasformando lo spazio in una zona affollata e a rischio di collisioni. Migliaia di satelliti operativi convivono con centinaia di migliaia di frammenti generati da esplosioni, impatti o abbandono di vecchi dispositivi. Per affrontare questo scenario, al centro spaziale del Fucino in Abruzzo, Telespazio guida quotidianamente le manovre che evitano scontri tra satelliti e detriti. Andrea Cardellicchio, Vice President Operations di Telespazio, ha spiegato durante la trasmissione Space Panorama della Fondazione Leonardo: «Telespazio si occupa di fare in modo che i satelliti restino nelle orbite a loro assegnate. Dobbiamo anche assicurarci che non entrino in rotta di collisione con altri oggetti che popolano lo spazio, siano essi detriti o satelliti controllati da altri operatori».

L’affollamento crescente delle orbite terrestri

In quasi settant’anni, dal lancio dello Sputnik nel 1957, l’orbita terrestre è diventata progressivamente più affollata. Negli ultimi anni, con l’aumento esponenziale dei lanci, la situazione è peggiorata. I radar rilevano oggi circa 10.000 satelliti operativi, ma anche centinaia di migliaia di oggetti “defunti” e milioni di frammenti generati da esplosioni o collisioni precedenti.

Le orbite più congestionate sono le cosiddette orbite basse, tra i 300 e i 2000 chilometri di altitudine, dove si concentra la maggior parte dei satelliti. Ogni oggetto in più aumenta il rischio di collisione e, data la velocità relativa dei corpi in orbita, anche un impatto minimo può avere conseguenze disastrose.

Collision avoidance: la manovra che salva i satelliti

La gestione del rischio parte dalla ricezione di un alert di collisione, inviato in gran parte dal Comando delle operazioni spaziali americane. Cardellicchio ha descritto il processo: «Ci inviano un messaggio in cui viene identificato il rischio di collisione e l’ora in cui, a loro avviso, avverrà. Noi effettuiamo un’analisi di raffinamento per determinare l’effettiva probabilità. Se necessario, progettiamo e attuiamo una manovra di collision avoidance, ordinando al satellite di accendere i propulsori e modificare la propria quota».

Gli oggetti più pericolosi risultano spesso gli stadi dei razzi utilizzati per il lancio o i satelliti a fine vita privi di sistema di propulsione. Questi corpi non governabili possono persino esplodere, generando ulteriori frammenti e aggravando la situazione.

I rischi della sindrome di Kessler

Uno degli scenari peggiori è quello delineato dall’astrofisico Donald Kessler: la cosiddetta sindrome di Kessler. Ogni collisione genera nuovi detriti che aumentano ulteriormente la probabilità di altri impatti, in una catena potenzialmente irreversibile che potrebbe rendere inutilizzabili intere fasce orbitali.

Un episodio emblematico si è verificato nel 2009, quando il satellite commerciale statunitense Iridium entrò in collisione con un satellite russo Cosmos. L’impatto generò migliaia di frammenti che, a distanza di anni, restano ancora in orbita.

Mega costellazioni e sfide future

All’affollamento contribuisce anche la proliferazione delle mega costellazioni satellitari. La costellazione Starlink, con decine di migliaia di satelliti previsti, e i progetti analoghi di Amazon e operatori cinesi pongono nuove sfide alla gestione del traffico spaziale.

Per i satelliti in orbita bassa è previsto il rientro atmosferico a fine vita, con conseguente disintegrazione, mentre per quelli a quote più elevate esistono le cosiddette orbite cimitero, che consentono di liberare le fasce operative. Tuttavia, queste misure richiedono coordinamento tra operatori e rispetto delle regole di dismissione.

Collaborazioni internazionali e capacità italiane

Non solo gli Stati Uniti, ma anche l’Europa ha sviluppato una rete di monitoraggio attraverso EUSST (EU Space Surveillance and Tracking), un’alleanza che mette in comune le capacità di diversi paesi. L’Italia contribuisce con i radiotelescopi dell’INAF a Noto, Medicina e in Sardegna, con i telescopi dell’Agenzia Spaziale Italiana e con i radar gestiti da Leonardo e dall’Aeronautica Militare.

Questi dati sono fondamentali per le analisi svolte da Telespazio e permettono di anticipare i rischi. La necessità di collaborazione è evidente, come ha dimostrato il caso del test missilistico russo del 2021, che distrusse un satellite generando circa 650 detriti. La nube di frammenti mise in pericolo gli astronauti della Stazione Spaziale Internazionale, costretti a rifugiarsi nelle capsule di rientro.

Gli episodi di maggiore tensione

Cardellicchio ha ricordato come la gestione delle manovre possa assumere anche una valenza geopolitica. «Un evento che ci ha creato particolare tensione è stato un messaggio di collisione con un satellite russo subito dopo l’invasione dell’Ucraina», ha spiegato. «In quel caso abbiamo dovuto compiere una manovra senza il confronto con l’operatore dell’altro satellite e quindi sostanzialmente al buio».

Questi episodi mostrano quanto la gestione dei detriti spaziali non sia solo una questione tecnica, ma anche politica e diplomatica.

L’importanza del tracciamento continuo

Il rischio è tangibile anche per oggetti di dimensioni ridotte. Come ricordato nella puntata, un frammento di appena dieci centimetri, a velocità orbitali, può distruggere un intero satellite. È per questo che sistemi di tracciamento accurati e procedure di collision avoidance rappresentano oggi strumenti indispensabili per garantire la sicurezza delle infrastrutture spaziali e preservare la sostenibilità dell’ambiente orbitale.

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