IL REPORT

Space economy, via alla New Age

Secondo Ubs le applicazioni più innovative, in particolare legate all’Osservazione della Terra, sono solo agli esordi e le stime sulla crescita del comparto variano velocemente. Chi investe deve tenere conto del rischio sul breve periodo, meglio puntare su piani di lungo termine

27 Ott 2022

Nicola Desiderio

Ubs

La nuova era della space economy riguarda settore promettenti e utili all’umanità, ma fanno leva tuttavia su tecnologie ancora allo stato infantile che hanno bisogno di investimenti e pazienza per trasformarsi in autentici fenomeni industriali e sociali.

Oltre l’odierna space economy

Lo sostiene il Chief Investment Office della Ubs nel report Space Economy pubblicato il 7 settembre scorso, rilanciato nei giorni scorsi da un articolo realizzato dal grande gruppo finanziario svizzero e che guarda ai nuovi business aperti dalla new economy, al di là di quelli gli assetti esistenti nati negli ultimi anni sotto la spinta impetuosa dello sviluppo commerciale dello spazio e di un’industria sempre più importante, ricca e strutturata.

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Tempi lunghi

Gli effetti sulla società sono evidenti, ma sono ancora una piccola parte di quello che ci aspetta nei prossimi anni. Resta solo da stabilire quanti ne devono passare e che cosa fare davvero per trasformare in realtà ed esplorare tutte queste opportunità, valutando anche le incertezze e i rischi che esse comportano, separando attentamente gli aspetti realizzabili nel breve termine e quelli invece proiettati nel lungo termine.

Il turismo spaziale

Il primo campo approfondito è il turismo spaziale che appare così vicino, ma è nei fatti distante quanto ad accessibilità. UBS ricorda che il primo turista spaziale fu Dennis Tito oltre 20 anni fa il quale pagò il suo biglietto nello spazio 20 milioni di dollari. Oggi Virgin Galactic chiede 450.000 dollari con un deposito di 150.000. Una bella riduzione, ma ancora distante da una massa consistente. Occorre anche mettersi d’accordo che cosa si intende per turismo spaziale: si va da viaggi orbitali di più giorni a quelli suborbitali che durano ore o meno nei quali sperimentare la microgravità.

Il privato non basta

UBS non sa indicare un termine entro il quale si svilupperà un turismo spaziale dotato di massa critica in grado di produrre profitti, ma suggerisce di associare tale attività ad altri servizi commerciali. Inoltre afferma che la sola industria privata dello spazio è insufficiente a promuovere il turismo spaziale e occorrerebbe differenziale il panorama degli operatori puntando di più alla creazione di business model che privilegiano una crescita lenta, ma solida.

Il solare spaziale

Altra tecnologia di grande interesse, soprattutto in tempi come questi, è quella dello Space-based solar power (Sbsp) ovvero della produzione di energia solare attraverso impianti fotovoltaici orbitanti capaci poi di trasmetterla sulla Terra attraverso microonde o raggi laser. Il vantaggio principale di questa tecnologia è superare un limite naturale, ovvero la quantità ridotta di energia solare che riesce ad arrivare sul suolo terrestre che è pari al valore medio di 1,367 kW per metro quadro – la famosa costante solare – a causa del filtro costituito dall’atmosfera.

Un interesse rinnovato

Troppo poco, soprattutto considerando che i pannelli fotovoltaici hanno un rendimento ancora molto basso (25% nei casi migliori). In questo campo invece la leva governativa sta agendo di nuovo con rinnovato vigore in molti progetti. Hanno programmi dedicati alla Sbsp l’Esa, la Nasa, il Regno Unito e anche la Cina che si è posta l’obiettivo di iniziare a costruire un impianto fotovoltaico spaziale entro il 2028. In gioco ci sono tre fattori: la transizione ecologica verso le emissioni zero, l’abbandono delle fonti fossili che producono inevitabilmente agenti inquinanti e climalteranti e l’autonomia energetica. Aspetti che hanno, oltre a risvolti ambientali, anche geopolitici.

Fabbricare nello spazio

L’ultimo campo oggetto di attenzione di Ubs è la manifattura spaziale. Non si tratta certo di un settore nuovo, che nel passato ha ispirato ingegneri e scienziati con lo scopo di sfruttare le condizioni ambientali, in assenza di gravità e agenti esterni, per realizzare sostanze e prodotti sulla Terra non realizzabili o realizzabili assai difficilmente. A questo, si somma la necessità di sviluppare un sistema di produzione lontano dal nostro pianeta in grado di supportare missioni umane di lunga durata come quelle sulla Luna e sugli altri pianeti.

Dalla stampa 3D in poi

La manifattura additiva, meglio conosciuta come stampa 3D, è la tecnologia che offre maggiori prospettive. A questo si somma anche l’attività mineraria spaziale che potrebbe permettere di ricavare materiali preziosi per l’industria terrestre e, allo stesso tempo, decentrare anche l’approvvigionamento delle materie prime lontano dal nostro pianeta e più vicino alle missioni umane nello spazio.

Il tempo è galantuomo

Ubs indica nello sviluppo di una capacità produttiva spaziale ben strutturata uno dei prerequisiti fondamentali per una space economy verso la nuova era. La grande banca svizzera ribadisce però che occorre pazienza e che tutti gli investimenti strategici nel campo dello spazio hanno bisogno di tempo per svilupparsi in modo compiuto, sostenibile e i cui benefici sono effettivamente visibili e fruibili per tutti.

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