ESPLORAZIONE SPAZIALE

La Nasa scopre una potenziale impronta di vita microbica su Marte



Indirizzo copiato

L’Agenzia spaziale americana rivela che il Pianeta Rosso sarebbe stato abitabile più a lungo del previsto. Gli indizi di vita su Marte emergono da uno studio pubblicato sulla rivista Nature, a cui ha preso parte anche l’Italia con l’Inaf. Le ricerche continuano

Pubblicato il 15 set 2025



marte-pianeta-160202154645.jpg

Il rover Perseverance della Nasa ha scoperto che su Marte potrebbe esserci una “potenziale impronta di vita microbica”. Lo hanno rivelato esperti dell’Agenzia spaziale americana dopo la pubblicazione sulla rivista Nature di uno studio (dal titolo “Redox-driven mineral and organic associations in Jezero Crater, Mars”) condotto su un campione marziano.

Ulteriori studi

Il team internazionale di ricerca, a cui partecipa anche l’Italia, con l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), ha però fatto notare che serviranno ulteriori ricerche per accertare che questa traccia sia davvero frutto di processi biologici generati da forme di vita passata.

Vita su Marte

La scoperta riguarda alcune delle rocce sedimentarie “più giovani” analizzate dalla missione mars 2020 della Nasa, che ha l’obiettivo di studiare la superficie di Marte. Da quel che risulta dalle ultime esplorazioni spaziali, il Pianeta Rosso potrebbe essere stato abitabile per un periodo più lungo di quanto gli astronomi pensassero.

Carbonio organico

I potenziali indizi di vita passata riguardano insoliti minerali associati a carbonio organico che potrebbero essere compatibili con processi biologici e che vengono dunque considerati come ‘potenziali biofirme’ meritevoli di ulteriori indagini per accertare se derivino da forme di vita passata.

Lo studio è frutto di un campionamento di rocce argillose che il rover Perseverance ha eseguito nel cratere Jezero nel corso del 2024.

I potenziali indizi di vita passata concernono insoliti minerali associati a carbonio organico, i quali potrebbero essere compatibili con processi biologici e che sono considerati come “potenziali biofirme”.

Ulteriori ricerche

Per gli scienziati, queste impronte di vita potenziale meritano ulteriori indagini per stabilire se derivino da forme di vita passata e per escludere origini puramente geochimiche.

Infatti finora le analisi condotte sul campione chiamato “Sapphire Canyon” indicano la presenza di minuscoli noduli e granuli arricchiti di fosfato di ferro e solfuro di ferro, associati al carbonio organico.

Articoli correlati