LA RUBRICA ASI

Smallsat, così i microsatelliti cambiano le carte in orbita

Il boom, negli ultimi due anni, si deve alle mega costellazioni per la banda ultralarga, Starlink e OneWeb. L’Agenzia spaziale italiana lancerà presto nuovi programmi satellitari: apripista la missione Platino, Iride la “perla” italiana

23 Gen 2023

Emilio Cozzi

italia

L’articolo è tratto dal nuovo numero di Spazio 2050: Smalsat Revolution (tutto sui nanosatelliti)

Il 17 giugno del 1946, a Saint Louis, un uomo sollevò la cornetta del telefono e la storia rispose: si trovava in auto e quella chiamata sarebbe stata la prima da un dispositivo mobile. Nel 2021 alcune testate hanno ricordato l’occorrenza dopo 75 anni sottolineando una curiosità vintage: quel telefono, testato dalla Southwestern Bell, una delle compagnie locali della AT&T, “occupava molto dello spazio del portabagagli” e “pesava 80 libbre”, circa 36 chilogrammi. Detto altrimenti, per essere un dispositivo stricto sensu portatile, aveva bisogno di un’auto che lo rendesse mobile.

Dallo Sputnik in poi, passi da gigante

Mutatis mutandis, una cosa simile sta accadendo nell’ambito della tecnologia destinata a operare oltre l’atmosfera terrestre. Il primo satellite costruito e lanciato dall’uomo, il sovietico Sputnik, pesava 83 chili; ora lo chiameremmo “microsatellite”, della famiglia degli smallsat, apparati con una massa inferiore ai sei quintali. Primato storico a parte, però, lo Sputnik aveva ben poche utilità: emettere un segnale radio, ascoltato anche dai radioamatori di tutto il mondo, e spaventare a morte gli americani.

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Nei sei decenni successivi, i satelliti spediti in orbita sono stati come il telefono mobile di Saint Louis: grandi, pesanti, costosi e, per muoversi, bisognosi di un veicolo di trasporto, un lanciatore in parte esclusivo, cioè scelto per soddisfare le loro esigenze. Ma come nella telefonia mobile, anche nella tecnologia aerospaziale si sono fatti passi da gigante, che hanno permesso di tornare alle dimensioni contenute del primo Sputnik estendendone a dismisura le capacità e l’utilità. È un processo in grado di cambiare in maniera radicale le strategie di alcuni settori di business.

Nel decennio 2012-2021 l’82% dei satelliti è smallsat

Secondo un’analisi di Bryce Tech sul decennio compreso fra il 2012 e il 2021, dei 5.681 satelliti lanciati nello spazio, oltre 4.600, cioè l’82%, sono smallsat. Nel 2021 i satelliti di dimensioni ridotte sono stati il 94%, vale a dire il 43% della massa complessivamente spedita oltre il cielo. Il boom, negli ultimi due anni, si deve alle mega costellazioni per internet a banda larga Starlink e OneWeb, che insieme hanno visto partire più di 2mila unità. Più piccole, più economiche e più numerose, come gli smartphone.

I programmi delle Agenzie spaziali

Le agenzie spaziali stanno muovendosi nella stessa direzione: la Nasa, per esempio, porterà gli smallsat attorno alla Luna. L’Agenzia spaziale italiana lancerà presto nuovi programmi satellitari nati attorno al medesimo concetto, beninteso, senza abbandonare la strada percorsa finora con gli apparati large. Sarà, anzi, un’integrazione del grande con il piccolo, laddove il secondo è frutto della ricerca portata avanti per sviluppare e costruire strumenti “pesanti” e altamente prestazionali come Cosmo-SkyMed e Prisma: competenze e know-how all’avanguardia nelle tecnologie dell’osservazione della Terra.

Platino apripista

A fare da apripista è il programma Platino (Piattaforma spaziaLe ad Alta TecNOlogia), la promessa di un nuovo paradigma extra-atmosferico: è una struttura standard, adattabile, in grado di ospitare strumenti diversi per scopi non meno assortiti.

A “battezzare” la seconda, Iride, è stata Samantha Cristoforetti, durante una diretta dalla Stazione spaziale internazionale lo scorso maggio. Sarà una costellazione composta da dozzine di smallsat di taglie diverse: una flotta con gruppi di satelliti dedicati a misurare aspetti specifici, dalla qualità delle acque ai movimenti del suolo. A questi si aggiungerà la flotta di cubesat Alcor, cui è dedicato l’articolo nelle pagine seguenti.

Platino è un “jolly”. Significa che lo stesso modello di veicolo, il satellite, può essere dotato di strumenti diversi a seconda delle funzioni richieste: osservazione della Terra, telecomunicazioni, rilievi scientifici. Finanziato dall’Asi e dal Governo con 100 milioni di euro, Platino sarà realizzato dal raggruppamento temporaneo di imprese costituito dalla mandataria Sitael con Thales Alenia Space, Leonardo e Airbus Defence and Space. Sempre nella classe degli smallsat, si avvarrà di apparati più leggeri, satelliti di circa 200 chilogrammi: “A partire dal 2017 – ricorda Francesco Longo, responsabile dell’unità di Osservazione della Terra dell’Agenzia spaziale italiana – abbiamo sviluppato questa piattaforma multi-missione, concepita per avere la giusta flessibilità e imbarcare numerosi strumenti. L’obbiettivo è aumentare le performance e ridurre le dimensioni”. Detto altrimenti, offrire un “modello” di spacecraft – l’auto con cui trasportare il telefono, per tornare a Saint Louis – piccolo ma con prestazioni sempre più importanti, da integrare con quelle dei satelliti più grossi e costosi. Un approccio, quello dell’operatività in tandem, che oggi non registra equivalenti.

La missione Platino 1

Ne sarà un esempio proprio Platino 1: decollerà entro il 2023, avrà uno strumento Sar in banda X – cioè un radar ad apertura sintetica, tecnologia in cui l’Italia primeggia da anni – e opererà con Cosmo-SkyMed, per esempio nel misurare i movimenti del territorio: vulcani, frane sui versanti delle montagne, ma anche ponti ed edifici.

“Lavoreranno in quella che in gergo si indica come configurazione bistatica: Cosmo-SkyMed, come un radar, è un illuminatore, emette e riceve un segnale (l’emissione elettromagnetica in onde radio, ndr). Allo stesso modo Platino avrà sia la capacità di trasmettere che di ricevere, ma potrà anche osservare l’energia riflessa da Cosmo-SkyMed. È come se guardasse la stessa scena da un altro punto di vista, cosa che aumenterà di molto le informazioni contenute in ogni immagine, con indubbia utilità, per esempio, per la Protezione Civile”.

La missione Platino 2

Sviluppata con la Nasa, la missione Platino 2 trasporterà invece uno strumento nell’infrarosso, dedicato alla misurazione della qualità dell’aria, del particolato e delle polveri sottili. Ora si chiama Maia (Multi-Angle Imager for Aerosols) ed è previsto decolli nel 2024: “Sarà una missione fantastica, orientata al cittadino – rimarca l’ingegnere dell’Asi – non finalizzata solo alla conoscenza biochimica, ma in collaborazione con le comunità sanitarie. Non è un caso, nel nostro advisory group e nella comunità scientifica, figuri l’Arpa Emilia Romagna. Platino 2 è progettata per osservare le zone critiche come quella di Taranto, di Gela, la Pianura Padana, e incrociare le informazioni sul particolato atmosferico con le statistiche delle patologie respiratorie”.

La missione Platino 3

Platino 3 inaugurerà una strada poco battuta per quanto riguarda la sensoristica italiana: l’alta risoluzione di camere ottiche, ambito oggi a leadership francese (basti pensare alla coppia di satelliti Pleiades). Dotato di una vista da falco, Platino 3 vanterà una risoluzione al suolo di mezzo metro.

La missione Platino 4

Infine, Platino 4 andrà a esaltare i “superpoteri” di un’altra eccellenza nazionale, il satellite multispettrale Prisma (PRecursore IperSpettrale della Missione Applicativa), che monitora lo stato di salute del Pianeta osservando la firma chimica degli elementi di cui è composto: «A essere interessante, in questo caso, non è tanto la risoluzione spaziale, di 30 metri, ma quella spettrale. Prisma lavora su 240 bande: per ogni parte della Terra che osserva fornisce 240 immagini. Questo permette di comprendere le caratteristiche biofisiche della materia. Prisma di seconda generazione avrà una risoluzione spaziale di 10 metri, qualcosa che non ha nessuno. Platino 4 aggiungerà le sue prestazioni multispettrali, leggermente inferiori, ma ottenute con un satellite di appena 250 chili. Un giorno potremmo pensare di lanciarne cinque o sei e avere una capacità di osservazione on demand, quando serve e dove serve, grazie al tempo di rivisita di poche ore».

Starlink e OneWeb

Il “tempo di rivisita” è l’intervallo che intercorre tra un passaggio e il successivo sulla stessa area territoriale. È uno dei punti di forza portati dalle costellazioni di smallsat. L’esempio oggi più noto è costituito dai già menzionati Starlink e OneWeb, infrastrutture pensate per garantire, dallo spazio, una connessione a internet ubiqua, a banda larga e a bassa latenza: viaggiando in orbite prossime alla Terra, e quindi ad alta velocità, ogni loro unità sparisce presto oltre l’orizzonte. Per garantire la continuità del servizio, occorre dunque una rete “a maglie strette”, composta da migliaia di satelliti. “Non solo è necessario che le performance migliorino progressivamente, occorre farlo sfruttando oggetti di dimensioni ridotte – sottolinea Longo, riportando il discorso sui programmi italiani – sarebbe impensabile lanciare venti satelliti Cosmo-SkyMed di seconda generazione. Però potremmo ottenere prestazioni di assoluto rilievo e a costi ridotti con 30 small satellite. Ecco perché l’alta rivisita è un concetto fondamentale per Iride”.

Iride, la perla italiana

Moltiplicare gli apparati costa, ma la miniaturizzazione delle componenti e la possibilità di lanciarne decine con un singolo razzo hanno decretato il successo di un nuovo tipo di architettura orbitale. E, insieme, l’esplosione del mercato: un rapporto Euroconsult stima che nel decennio più recente gli smallsat abbiano mosso, a livello globale, più di 23 miliardi di dollari. Pronti a lievitare fino a 84 nei dieci anni a venire: “La peculiarità di Iride è di essere una costellazione costituita da dozzine di satelliti di dimensioni ridotte rispetto a quelle degli apparati principali che l’Italia ha sviluppato, come Cosmo-SkyMed – spiega Guido Levrini, project manager di Iride per l’Agenzia spaziale europea, responsabile, sino a pochi mesi fa,  del segmento spaziale del programma Copernicus – non saranno tutti identici, ma di taglie diverse: si partirà da quelli più piccoli, intorno ai 25 chilogrammi, e si arriverà ai più grossi, della serie Platino, nell’ordine dei 350 chili. Questo perché ospiteranno sensori e strumenti di natura e complessità diversa, quindi anche di peso differente”.

Non è secondario che Iride possa considerarsi un esito dell’approccio – della filosofia – alla base di Platino: tante tipologie di satelliti implicano un ampio ventaglio di capacità, frutto di un progresso tecnologico del nostro Paese che dai grandi satelliti ha voluto concentrare in dimensioni sempre più agili sensori e potenza di calcolo. Riuscendoci. Quanto evidente con Platino è infatti comune a esperienze come quella di Argotec, che ha realizzato e portato i cubesat dell’Asi Liciacube e Argomoon a volare con la Nasa nelle missioni Dart, puntando l’asteroide Dimorphos nel primo test di difesa planetaria della storia, e a bordo di Artemis I, verso la Luna.

Così è nata anche Iride: “le sue saranno missioni mono sensore – prosegue Levrini – radar ad apertura sintetica, sensori di tipo iperspettrale e infrarosso, payload ottici con risoluzioni di due o tre metri, in alcuni casi anche inferiori al metro. Iride spazierà dall’osservazione delle coste al monitoraggio dell’atmosfera, dalla qualità delle acque e del sistema idrico ai movimenti del terreno e delle grandi infrastrutture. Sono tutte capacità traducibili in servizi di sicurezza, di prevenzione e gestione delle emergenze, oppure in applicazioni a supporto dell’agricoltura, alla gestione del patrimonio boschivo e molte altre”.

Monitoraggio costante a protezione del territorio

In emergenza, per esempio attraverso i radar, anche di notte si potranno osservare le zone alluvionate per riconoscerne le aree sommerse, oppure, poche ore dopo un terremoto, sarà possibile identificare gli edifici danneggiati. Allo stesso tempo gli occhi della costellazione eseguiranno un monitoraggio costante, per fare in modo che le eventualità critiche siano previste, affrontate o almeno arginate il prima possibile. Nuove sentinelle, più numerose e pronte, potranno avvertire l’approssimarsi di un crollo o di un cedimento: “Iride è un programma end to end, che promette un salto qualitativo nell’utilizzazione dei dati satellitari a chi, oggi, non li usi in modo sistematico – riprende Levrini – un caso importante è quello della pubblica amministrazione, sia a livello regionale che locale. Le osservazioni aiuteranno il Comando dei Carabinieri per la Tutela Forestale, che ha il compito di sorvegliare lo stato di tutto il patrimonio boschivo italiano, non solo per gli incendi. Parlando ancora di coste, sarà possibile monitorarne l’erosione, la qualità delle acque, i sedimenti depositati dagli scarichi dei fiumi. In ambito agricolo, prestazioni satellitari migliori e più puntuali equivarranno ad applicazioni rilevanti anche in ambito commerciale: penso al cosiddetto precision farming, a servizi di gestione della crescita delle colture e dello sfruttamento delle risorse idriche, importante nel settore agricolo”.

È una sottolineatura tutt’altro che marginale: nel 2016 più della metà degli smallsat operava nell’ambito dell’osservazione della Terra, in vigorosa fioritura nell’era della new space economy. Moltiplicare i satelliti significa poter avere uno sguardo costantemente rivolto su quel che di più interessa al suolo. Disporre di apparati large e small, e con la possibilità di affiancarne le capacità, promette di migliorare ulteriormente la qualità di quello sguardo. E di trasformare il dato e la sua elaborazione in materie prime ancora più preziose per un’industria di servizi e applicazioni in crescita costante.

Un volano per l’industria privata

Ecco perché l’investimento pubblico nel programma Iride, 1,1 miliardi di euro del Pnrr, ha l’ambizione di diventare un volano per l’iniziativa privata: «i dati saranno condivisi con gli investitori disposti ad affrontare il rischio di impresa per fornire servizi al settore commerciale, facendo anche business”, conclude Levrini. Ed è indicativo che i tempi del programma siano stretti: entro la fine del 2025 Iride dovrà essere in orbita, dove arriverà grazie a Vega C, altro significativo successo dell’ecosistema spaziale italiano.

Anche Platino punta a diventare un incentivo all’impresa. Anzitutto per il satellite, da produrre magari in serie. Si tratta di un approccio al settore relativamente nuovo: non costruire più progettando da zero satelliti o anche ambienti spaziali, ma avere un modello standard già testato da customizzare, come un prefabbricato. Quindi esportarlo: “il tessuto industriale deputato alla realizzazione di Platino sta registrando un successo significativo, e anche questo è uno degli scopi portanti: far sì che gli asset necessari al monitoraggio siano appetibili sul mercato internazionale”, conclude Longo. Qualcosa di molto simile a quanto successo dopo quella telefonata, nel 1946, a Saint Louis.

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