L'INTERVENTO

Space economy, l’Italia ha perso appeal. Imprescindibile una politica industriale

Siamo ancora leader in molti segmenti ma non basta per tenere testa all’avanzata di Paesi che stanno maggiormente investendo in ricerca e innovazione. La quasi totalità delle applicazioni tecnologiche è governata proprio dallo Spazio: è necessario tornare a pensare in grande. L’analisi del Gruppo Spazio Azione

08 Feb 2021

Enrico Stroppa

Gruppo Spazio Azione

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Lo Spazio ormai non è più al centro delle cronache da diversi decenni, in Italia in particolare. Ha perso appeal, non c’è più quella dimensione del “sogno” che ha accompagnato le prime missioni americane e sovietiche negli anni Sessanta e Settanta. E se da un lato, in America alcuni nuovi “dreamer” stanno provando a ricostruire questo sogno (o a crearne uno nuovo), dall’altro lato dell’Atlantico le cose sono più tiepide.

Eppure, oggi lo Spazio è più importante che mai. Anzi, è diventato imprescindibile per la quasi totalità delle applicazioni tecnologiche che quotidianamente utilizziamo. E di fronte alle ristrettezze finanziarie e di supporto politico che devono affrontare Stati Uniti e Paesi europei, c’è qualcun altro che ne sta approfittando per compiere “enormi balzi” vero la leadership spaziale.

Si tratta della Cina, che negli ultimi anni è riuscita a bruciare le tappe dell’esplorazione spaziale e porsi tra le prime tre nazioni al mondo come impegno per lo Spazio. Certo, questa velocità è stata possibile anche grazie all’enorme quantità di tecnologie importate dagli altri Paesi che l’hanno preceduta di mezzo secolo in questa impresa. Ma nonostante ciò, il ritmo incalzante che la Cina sta imprimendo alle sue attività spaziali è notevole. Soprattutto, esattamente come accaduto per la crescita esponenziale della sua economia fino a qualche anno fa, questo processo evolutivo sta passando quasi inosservato alla maggior parte degli osservatori, che non sembra ne siano preoccupati.

Di fronte a questo quadro internazionale e in particolare in relazione alla Cina, come si pone il nostro Paese, pioniere anch’esso dell’esplorazione spaziale, terza nazione al mondo a lanciare un proprio satellite e ancora oggi leader in diverse frazioni della cosiddetta space economy? Prima di tutto sarebbe necessario prendere una posizione netta dal punto di vista diplomatico. È del marzo 2019, in occasione di quella famosa visita di Xi Jinping a Roma, un accordo che sottoscrissero le agenzie spaziali dei due paesi per collaborare nella prossima stazione spaziale cinese. Sì, esatto, mentre la Iss, simbolo di decenni di collaborazione internazionale per l’esplorazione dello spazio, andrà in pensione, la Cina ne sta costruendo una sua, con il lancio del primo segmento previso tra poche settimane.

Poi, dopo questo “giro di valzer”, lo scorso autunno la Nasa ha bussato alla porta del sottosegretario Fraccaro e gli ha fatto fare un passo indietro da quell’impegno con i cinesi, per avere la possibilità di firmare gli Artemis Accords, che ci permetteranno di tornare sulla Luna con i nostri alleati storici. La strada della collaborazione con la Cina rimane chiaramente aperta, soprattutto se in ambito tecnologico e di ricerca: la cosa importante però è che questi scambi siano a doppio senso, senza lasciarci abbindolare da facili contratti, che sono sì remunerativi ma ci pongono una posizione politica ambigua.

Parlando di ricerca, c’è un ambito che ricorda molti film di fantascienza ma che sta diventando realtà e nel quale l’Italia è all’avanguardia. Si tratta di quella che viene comunemente chiamata “ibernazione” e che può essere definita in modo gergale come letargo: una situazione nella quale l’organismo va in “stand-by” spegnendo tutte le attività non essenziali per il metabolismo. Infatti il nostro Paese, ha contributo in modo fondamentale a questa linea di ricerca, inaugurata dall’Agenzia spaziale europea, che punta a studiare da un punto di vista ingegneristico un’astronave progettata per ospitare passeggeri in ibernazione. Non a caso, le istituzioni italiane se ne sono accorte e nell’ultima Legge di bilancio hanno inserito una voce per creare un istituto di ricerca dedicato all’ibernazione con una dotazione di 5 milioni di euro. È certamente un segnale positivo, al di là della facile ironia fatta dai media in occasione della pubblicazione della Manovra, ma questo è possibile solo a fronte di finanziamenti adeguati al supporto della ricerca e incentivi a partnership pubblico-private. Allo stesso tempo, la Cina non starà certo a guardare.

In questo genere di imprese, arrivare per primi è fondamentale per sfruttare al massimo i vantaggi delle nuove scoperte e soprattutto delle tecnologie derivate. In questo caso invece, come spesso capita in Italia, si tratta di una misura estemporanea e non inserita in un quadro coerente di sviluppo della politica spaziale e di ricerca per il nostro Paese, che al momento non c’è e non si vede nemmeno all’orizzonte. Da un lato, servirebbe un strategia di lungo periodo per la ricerca e l’innovazione, all’interno della quale un finanziamento per lo studio sull’ibernazione troverebbe un posto preciso e non susciterebbe la facili risate di chi lo trova a fianco dei fondi per lo sviluppo dei treni a idrogeno e della filiera della canapa. Dall’altro lato, diventa imprescindibile un testo legislativo unitario che governi la politica spaziale italiana, da un punto di vista politico, diplomatico e della governance: una politica spaziale che al momento presenta delle lacune strutturali tali da impedirne uno sviluppo coerente. Intanto la Cina scappa via e noi rischiamo di poter solo rincorrere, come mostrano le esperienze del 5G o della mobilità elettrica. Senza nemmeno la speranza di metterci in pari.

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