IL PROGETTO

Nello Spazio per testare nuovi farmaci: Zeprion in orbita

Lanciato verso la Stazione Spaziale Internazionale avrà il compito di confermare il meccanismo molecolare alla base di un innovativo protocollo farmaceutico per contrastare le malattie da prioni. In campo le università di Milano-Bicocca e Trento, la Fondazione Telethon, l’Infn e il Cnr

02 Ago 2023

Paolo Marelli

Lancio_credits_Nasa

La medicina guarda allo Spazio. Un esperimento lanciato con successo verso la Stazione Spaziale Internazionale (Iss) potrebbe portare a una validazione del meccanismo di funzionamento di un protocollo del tutto innovativo per lo sviluppo di nuovi farmaci contro gravi malattie neurodegenerative e non solo. 

Frutto di una collaborazione internazionale che coinvolge diversi istituti accademici e l’azienda israeliana SpacePharma, l’esperimento Zeprion vede un fondamentale contributo dell’Italia attraverso l’Università Milano-Bicocca, l’Università di Trento, la Fondazione Telethon, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), e l’Istituto di biologia e biotecnologia agraria del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ibba). 

Il decollo dalla base in Virginia

Decollato con la missione spaziale robotica di rifornimento Ng-19 dalla base di Wallops Island, in Virginia (Usa), Zeprion si propone di sfruttare le condizioni di microgravità presenti in orbita per verificare la possibilità di indurre la distruzione di specifiche proteine nella cellula, interferendo con il loro naturale meccanismo di ripiegamento (folding proteico). L’arrivo di Ng-19 e Zeprion sulla Iss è previsto per venerdì 4 agosto, quando in Italia saranno all’incirca le 8 del mattino.

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Passo avanti per la farmacologia

Il successo dell’esperimento Zeprion fornirebbe un possibile modo per confermare il meccanismo molecolare alla base di una nuova tecnologia di ricerca farmacologica denominata Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting (Ppi-Fit), sviluppata da due ricercatori delle Università Milano-Bicocca e di Trento e dell’Infn. L’approccio Ppi-Fit si basa sull’identificazione di piccole molecole (dette ligandi), in grado di unirsi alla proteina che costituisce il bersaglio farmacologico durante il suo processo di ripiegamento spontaneo, evitando così che questa raggiunga la sua forma finale.

Studiare specifiche proteine

“La capacità di bloccare il ripiegamento di specifiche proteine coinvolte in processi patologici apre la strada allo sviluppo di nuove terapie per malattie attualmente incurabili”, spiega Pietro Faccioli, professore dell’Università Milano-Bicocca, ricercatore dell’Infn, coordinatore dell’esperimento e co-inventore della tecnologia Ppi-Fit.  

Un tassello finora mancante per la validazione della tecnologia è la possibilità di ottenere un’immagine ad alta risoluzione del legame tra le piccole molecole terapeutiche e le forme intermedie delle proteine bersaglio (quelle che si manifestano durante il ripiegamento), in grado di confermare in maniera definitiva l’interruzione del processo di ripiegamento stesso.

Esperimenti eseguibili solo in orbita

In genere, questo tipo di immagine viene ottenuta analizzando con una tecnica chiamata cristallografia a raggi X cristalli formati dal complesso ligando-proteina. Nel caso degli intermedi proteici, però, gli esperimenti necessari non sono realizzabili all’interno dei laboratori sulla Terra, in quanto la gravità genera effetti che interferiscono con la formazione dei cristalli dei corpuscoli composti da ligando e proteina, quando questa non abbia ancora raggiunto la sua forma definitiva. Questo ha spinto le ricercatrici e i ricercatori della collaborazione Zeprion a sfruttare la condizione di microgravità che la Stazione Spaziale Internazionale mette a disposizione.

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