Va avanti il monitoraggio indipendente, affidabile e continuo delle emissioni di gas serra in tutto il mondo. Mentre è in corso la conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici Cop30 a Belém (Brasile), i politici dei Paesi di tutto il mondo chiedono informazioni concrete e scientificamente fondate per valutare i progressi compiuti nell’ambito dell’Accordo di Parigi, il trattato internazionale che ha fissato l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C rispetto ai livelli preindustriali.
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I dati dell’Esa
Per soddisfare questa richiesta, le missioni di osservazione della Terra dell’Agenzia spaziale europea (Esa) forniscono proprio questi dati, fornendo prove indipendenti basate sui satelliti che rendono possibile la responsabilità climatica.
Grazie a decenni di esperienza nell’osservazione della Terra, l’Esa raccoglie e mette a disposizione dati trasparenti e affidabili che consentono ai paesi di monitorare i progressi e rafforzare l’azione nazionale per il clima.
Ruolo cruciale dei satelliti
Al centro di questo sforzo c’è l’Iniziativa sui cambiamenti climatici dell’Esa, che genera serie di dati satellitari a lungo termine che soddisfano le variabili climatiche essenziali, aspetti chiave del clima definiti dal Sistema globale di osservazione del clima. Questi dati forniscono ai ricercatori climatici di tutto il mondo una solida base scientifica che può essere utilizzata per elaborare strategie efficaci di mitigazione e adattamento.
Oltre a ciò, attraverso il Regional Carbon Cycle Assessment and Processes (Reccap-2) e progetti simili, l’Esa sta fornendo la ricerca e i dati necessari per sostenere l’attuazione dell’Accordo di Parigi.
Quantificare il bilancio del carbonio
Un parametro fondamentale che informa sulle azioni efficaci per la salvaguardia del clima e che deve essere tenuto presente è il bilancio globale del carbonio. Esso determina la portata e l’urgenza di ciò che deve essere fatto. Con l’obiettivo dell’Accordo di Parigi di limitare il riscaldamento a 1,5 °C, il bilancio del carbonio residuo – la quantità di anidride carbonica che possiamo ancora emettere – è pari a circa 235 gigatonnellate a gennaio 2025. Ai tassi di emissione attuali, questo bilancio potrebbe esaurirsi in soli sei anni.
Per comprendere questo bilancio è necessario conoscere con precisione due fattori chiave: la quantità di carbonio assorbita dai pozzi naturali – principalmente oceani e terra – e la quantità emessa dai combustibili fossili e dal cambiamento di destinazione d’uso del suolo.
Riflettori sull’Amazzonia
Tornando alla Cop 30 che riunisce quasi 200 Paesi a Belém, c’è da dire che la posta in gioco non potrebbe essere più alta, con i riflettori che si accendono sul cuore della foresta pluviale amazzonica, una regione che simboleggia sia la speranza che la preoccupazione nella lotta contro i cambiamenti climatici.
Il Global Stocktake, che si svolge ogni cinque anni nell’ambito dell’Accordo di Parigi, valuterà i progressi collettivi verso gli obiettivi climatici. I nuovi metodi sviluppati dal team Cci Reccap-2, basati sull’osservazione della Terra e sulla modellizzazione atmosferica, forniscono uno strumento per confrontare gli inventari dei gas serra. Il progetto Reccap-2 utilizza dati satellitari per affrontare una delle sfide più grandi della scienza climatica: comprendere come e dove il carbonio viene immagazzinato e rilasciato sulla superficie terrestre.
Perdita di carbonio
Il bacino amazzonico, che rappresenta il 14% dell’assorbimento annuale di carbonio da parte delle piante a livello globale, ha perso 370 milioni di tonnellate di carbonio tra il 2010 e il 2020, con la regione sud-orientale particolarmente colpita. Il bacino continua a mostrare un’accelerazione della perdita di carbonio, sollevando preoccupazioni sui potenziali punti di non ritorno.
Del resto, i dati satellitari hanno rilevato un cambiamento fondamentale nelle foreste boreali e temperate dell’emisfero settentrionale, che rappresentano il 41% della superficie forestale mondiale. Le foreste che un tempo erano affidabili serbatoi di carbonio sono diventate fonti di carbonio dal 2016, a causa dell’aumento della siccità, degli incendi boschivi e di altri stress legati al clima.





