IL PROGETTO

L’Inaf mappa la luna di Giove: 242 le zone vulcaniche

Il team di studiosi italiani, grazie allo strumento Jiram dell’Asi, ha censito il numero di punti caldi del satellite “Io”. Ulteriori aggiornamenti entro il 2023

25 Gen 2023

Nicola Desiderio

Ci sono ben 242 zone calde (“hot spot”) su Io, 23 in più di quanto si sapesse in precedenza. A scoprirle è stato un team dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) mappando la luna più interna di Giove, che è anche il corpo vulcanicamente più attivo dell’intero Sistema Solare, grazie a Jiram (Jovian InfraRed Auroral Mapper), uno degli otto strumenti a bordo della sonda Juno della Nasa che è finanziato dall’Asi e realizzato da Leonardo sotto la responsabilità scientifica dello stesso Inaf.

Studio di livello internazionale

I risultati di questo lavoro scientifico italiano sono stati raccolti e pubblicati in un articolo sulla rivista Geophysical Research Letters (Grl) gettando nuova luce sulle proprietà vulcaniche di questo satellite, arricchendo le mappe realizzate in precedenza di 23 zone calde mai rilevate in precedenza e dando un quadro mai così dettagliato, capace di interessare anche le zone polari della luna di Giove.

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La mappa più aggiornata di Io

Francesca Zambon, membro del gruppo Jiram, ricercatrice dell’Inaf di Roma e prima autrice dell’articolo pubblicato su Grl, spiega: “La mappa degli hot spot presentata nel nostro lavoro è la più aggiornata tra quelle basate su dati di telerilevamento spaziale. Analizzando le immagini infrarosse acquisite da Jiram, abbiamo individuato 242 punti vulcanici caldi, di cui 23 non presenti in altri cataloghi e localizzati nella maggior parte dei casi nelle regioni polari, grazie alla peculiare orbita della sonda Juno”.

Attività in evoluzione

La ricercatrice sottolinea: “Il confronto tra il nostro studio e il catalogo più recente rivela che Jiram ha osservato l’82% degli hot spot più potenti precedentemente individuati, e la metà degli hot spot di potenza intermedia, dimostrando quindi che questi sono ancora attivi. Tuttavia, Jiram ha rilevato solo circa la metà degli hot spot più deboli precedentemente segnalati. Le spiegazioni sono due: o la risoluzione di Jiram non è sufficiente per rilevare questi deboli punti caldi, oppure l’attività di questi centri effusivi potrebbe essersi sbiadita o interrotta”.

Da Voyager in poi

La prima sonda spaziale ad osservare Io da vicino fu Voyager 1 che avvicinò Io nel marzo 1979 rivelando che la sua superficie era punteggiata da una moltitudine di centri vulcanici caldi, con imponenti colate laviche e pennacchi alti fino a qualche centinaio chilometri. In seguito, l’esplorazione condotta da altre sonde, soprattutto la Galileo della Nasa, rilevò l’altissimo numero degli hot spot attivi sulla luna gioviana più interna.

Le enormi maree di Giove

I centri vulcanici di Io sono innescati principalmente dalle potenti forze mareali esercitate da Giove, aspetti sui quali l’Italia ha già ottenuto risultati scientifici importanti grazie a Juno. Per questo lo studio dell’attività vulcanica di questo satellite è la chiave per comprendere la natura dei processi geologici e l’evoluzione interna di Giove. La distribuzione dei punti caldi e la loro variabilità spaziale e temporale sono preziosi per definire sia le caratteristiche del riscaldamento delle maree sia i meccanismi attraverso i quali il calore fuoriesce dall’interno.

Profonde o sotto la crosta

Alessando Mura, leader del gruppo Jiram e ricercatore dell’Inaf di Roma, aggiunge: “Uno dei maggiori punti aperti nella comprensione della struttura interna di Io è se l’attività vulcanica osservabile in superficie sia dovuta a un oceano di magma globale presente nel mantello, oppure a camere magmatiche che si insinuano nella crosta a minori profondità. Le osservazioni di Jiram sono tuttora in corso, e le future immagini a maggiore definizione saranno fondamentali per meglio evidenziare i punti caldi deboli e per chiarire la struttura interna di Io”.

Per capire l’origine della Terra

Secondo Giuseppe Sindoni, responsabile del progetto Jiram per l’Asi, “La superficie della luna gioviana Io è molto dinamica, con vulcani ed emissioni laviche in continua evoluzione, come dimostrato da questo importante risultato ottenuto dal nostro strumento Jiram e dall’ottimo lavoro svolto dal team. L’estensione della missione Juno fino al 2025 ci permetterà di monitorare questa evoluzione e di comprendere meglio i processi fisici che guidano un corpo così complesso e dalle fattezze simili alla nostra Terra primordiale, anche in previsione di future missioni dedicate”.

A soli 4.800 km di distanza

Il lavoro di Jiram e dell’Inaf potrebbe essere ulteriormente perfezionato dopo il 30 dicembre 2023 quando Juno, nel corso della sua 57ma orbita, effettuerà il passaggio più ravvicinato in assoluto a Io, a una distanza minima di circa 4.800 chilometri. Il satellite della Nasa rimarrà intorno a Giove fino a settembre 2025 dopo oltre 7 anni di attività e 12 anni di volo. Juno infatti è stata lanciata nell’agosto 2011 da Cape Canaveral, è in orbita attorno a Giove dal luglio del 2016, ha percorso 235 milioni di chilometri ed è tuttora la sonda in orbita planetaria più distante della Nasa.

Un’occasione unica

L’importanza del passaggio previsto per la fine dell’anno è capitale per gli scopi scientifici. Le missioni Europa Clipper della Nasa e Juice di Esa, che raggiungeranno Giove nel corso del prossimo decennio, non potranno mai avvicinarsi a simili distanze. Sarà quindi cruciale che Juno possa condurre osservazioni anche con Jiram durante tutte le prossime opportunità previste nel 2023, in particolare l’ultima.

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